Da un po’ di tempo a questa parte nella mia pratica di psicoterapeuta sto notando sempre di più la difficoltà dei genitori a farsi ascoltare dai propri figli e a proporre modelli di responsabilizzazione. Tanti genitori arrivano nel mio studio con la richiesta pressante di una “ricetta magica” perchè si vedono impotenti nel compito educativo. Le problematiche sembrano essere sempre le stesse: ragazzi che non ascoltano ciò che gli viene detto, che non fanno i compiti, sempre più presi dai giochi e da internet, svogliati e senza capacità di organizzare le loro attività ricorrenti; a scuola non ascoltano o rispondono ai professori; non si può dire loro nulla perchè altrimenti si arrabbiano, e così via. Approfondendo il discorso mi accorgo che nei genitori ci sono – da una parte – un rifiuto dei modelli educativi ricevuti dai propri genitori ritenuti troppo rigidi e inadeguati e – dall’altra – modalità educative che si basano su un eccessivo permessivismo e su atteggiamenti troppo amichevoli, che non rispecchiano la differenza generazionale. I genitori sanno, cioè, essere accudenti, protettivi, empatici, ma sono in difficoltà ad offrire un modello che stimoli al senso di responsabilità e ad acquisire capacità tipiche dell’intelligenza emotiva (D. Goleman).
Mi sono fatta l’idea che questo eccessivo desiderio di soddisfare i bisogni dei propri figli, togliendo loro autonomia e responsabilità, sia legato ad una necessità di essere per I loro figli quei genitori che loro stessi avrebbero voluto avere, ossia genitori capaci di ascoltare, non distanti e soprattutto non rigidi. Così facendo, però, i genitori rischiano di sostituirsi ai propri figli, ostacolandone il processo di crescita e di responsabilizzazione. Infatti, accanto a genitori impotenti che si prodigano a soddisfare i bisogni dei figli senza poi offrire loro dei modelli valoriali e un vero senso della vita, si accompagnano spesso bambini centrati su se stessi, in difficoltà ad accettare le frustrazioni e con una scarsa consapevolezza di sè.
Senza dimenticare che l’educazione è una scommessa e che non esistono ricette magiche che vanno bene per tutti, è chiaro che essa non può essere intesa solamente come processo che comporta il “tirar fuori”, il condurre fuori potenzialità e capacità da ciascun individuo ma anche come stimolo all’acquisizione di responsabilità e di azioni impegnate socialmente. In tal senso, autori come Recalcati ed altri hanno evidenziato come la nostra sia una società in cui è venuto a mancare il ruolo paterno inteso come istanza che favorisce la crescita e maturazione sociale del bambino. La Mindfulness e le “terapie di terza generazione” come l’ACT (Acceptance Commitment Therapy) sottolineano l’importanza della “consapevolezza” e dei “sistemi valoriali” come aspetti fondamentali e costitutivi del processo educativo. Come è risaputo, la consapevolezza è l’ingrediente basilare per qualsiasi cambiamento e, quindi, per lo sviluppo personale a 360°; essa aiuta ad avere una maggiore capacità di percepire se stessi in modo oggettivo, quindi a fare scelte e a prendere decisioni mirate e ponderate con una chiarezza mentale e conoscenza delle proprie potenzialità e fragilità. Numerose ricerche evidenziano i benefici della consapevolezza quali: 1) saper gestire le proprie emozioni; 2) saper prendere decisioni e fare scelte; 3) sviluppare le capacità introspettive e di connessione con il nostro “Io” più profondo; 4) stimolare l’attenzione a rimanere nel momento presente, producendo un più alto livello di felicità rispetto al vagare con la mente nei propri pensieri; 5) migliorare il sistema immunitario e psicofisico; 6) migliorare l’intelligenza emotiva.